L’albero del tè
Il tè è presente in migliaia di varietà e tipologie, ma ognuna ha un elemento comune: la pianta. Che si tratti di tè verde giapponese, di tè bianco cinese o di tè nero indiano, tutti si ricavano dalle foglie di Camellia sinensis.
È originaria della Cina, dove è conosciuta da migliaia di anni. Secondo una leggenda fu l’imperatore cinese Chen Nung[1] nel 2737 a.C. a scoprire il tè. Si narra infatti che mentre era seduto all’ombra di un albero, l’imperatore stesse facendo bollire dell’acqua in un recipiente con lo scopo di berla. Una brezza improvvisa fece cadere delle foglie dell’albero all’interno dell’acqua in ebollizione, donandole un lieve colore giallo e un profumo invitante. Chen Nung poco dopo bevve quell’acqua e la trovò divina nel sapore e nell’effetto che infondeva al corpo. Benché non esistano evidenze storiche circa questo avvenimento, dell’antico imperatore cinese è stato tramandato un corposo trattato di medicina, in cui le foglie di albero del tè vengono indicate come medicamentose sia per uso esterno, con impacchi di foglie pressate, sia come decotto per disturbi gastrointestinali. Leggenda o storia che sia, di certo il tè è conosciuto in Cina da tempi remoti.
Nella leggenda di Chen Nung si fa riferimento alla pianta del tè come di un albero. Ebbene, per quanto oggi ci paia impossibile, abituati come siamo a identificare il tè come un arbusto che cresce basso e ordinato in filari, la Camellia sinensis allo stato naturale è un albero che può raggiungere altezze fino ai 30 metri. Ancora oggi esistono nello Yunnan, la provincia sud occidentale della Cina, alberi di tè selvatici, vecchi centinaia di anni. Nelle foreste vergini, sulle montagne Dahei nello Yunnan, è stato identificato nel 1961 un albero di 1.700 anni, alto 32,12 metri e con un tronco del diametro di oltre un metro. Sempre nello Yunnan, è stata scoperta nel 1996 un’intera foresta di 280 ettari di alberi del tè. Le scoperte botaniche sono state tuttavia anticipate di gran lunga dall’antica sapienza delle popolazioni locali che da secoli raccolgono le foglie appena germogliate dalla chioma di questi alberi, per preparare un tè dal sapore intenso e corposo. Ancora oggi alcuni fra i migliori tè ossidati dello Yunnan provengono da alberi selvatici e in particolare si produce un particolare tipo di tè, il Pu-erh, ottenuto da foglie di tè ossidate, pressate in forme simili a un formaggio, e lasciate invecchiare anche fino a 50 anni.
Da Lu Yu a Linneo
Oggi il tè in tutto il mondo si ricava da piante coltivate. La coltivazione della pianta del tè risale al III secolo a.C., in Cina. Si trattava di una vera e propria arte, legata alla diffusione di una bevanda che inizialmente era destinata a nobili e monaci. Come avvenne per la diffusione del vino in Europa, spesso ad opera di monaci che coltivavano la vite all’interno dei loro monasteri e tramandavano le tecniche di lavorazione, anche la coltivazione del tè e l’arte della preparazione dell’infuso si diffusero in tutto l’Oriente ad opera di religiosi, monaci di fede buddista che trovavano nel tè un valido conforto durante le lunghe ore di meditazione.
Il più antico e completo trattato sul tè, scritto da un intellettuale formatosi in un monastero buddista, descrive così la pianta del tè:
"Il tè proviene da un grande albero [...] Il portamento della pianta ricorda quello del gualù,le foglie ricordano quelle della gardenia, i fiori quelli della rosa selvatica bianca, i frutti sono simili a quelli della palma, gli steli simili a quelli della pianta dei chiodi di garofano e le radici a quelle del noce.
[...] Il tè che cresce selvatico è il migliore, quello coltivato nelle piantagioni è ritenuto di minor pregio. Sia che cresca su pendici soleggiate, sia che cresca al riparo di boschi ombrosi, i germogli color porpora sono i migliori, quelli verdi di seconda qualità. I germogli simili a quelli di bambù sono i migliori, quelli appuntiti di minor pregio. Le foglie arrotolate sono di prima qualità, quelle aperte di seconda".[2]
Lu Yu, Il canone del tè, VIII secolo d.C.
La descrizione della pianta, pur se in termini divulgativi, risulta in linea di massima corretta e dimostra come già allora fosse ben chiaro in chi coltivava il tè il concetto di quello che oggi definiamo “terroir”: la combinazione di ambiente circostante, clima e composizione del suolo. Come ben dimostra il vino, il terroir è un elemento caratterizzante il prodotto finale, insieme al metodo di lavorazione. Per questo, nonostante oggi siano stati creati cloni delle migliori varietà di Camellia sinensis, il tè coltivato e prodotto in determinate zone originarie risulta comunque diverso da quello ottenuto in zone di adozione.
In Cina la pianta era identificata con il nome “cha”, lo stesso per l’infuso delle foglie, mentre in occidente il nome botanico Camellia sinensis è nato da Linneo: “Camellia” in onore del botanico Kamel[3] e “sinensis” in riferimento all’origine cinese (sinensis in latino significa “cinese”).
Linneo colloca la pianta nella famiglia delle Theacee ma individua due specie distinte, l’una dalla quale si ricava il tè verde, l’altra da cui si ottiene il tè nero. L’equivoco continuò per decenni, finché Robert Fortune, un avventuriero assoldato dalla Compagnia delle Indie Orientali britannica, carpì i segreti della lavorazione del tè in Cina e comunicò alla comunità scientifica europea che la differenza fra tè verde e tè nero non era nella pianta d’origine ma nella lavorazione.
L'Europa alla conquista del tè
Quando i primi commercianti ed esploratori europei si avventurarono nel XVII secolo nelle remote province della Cina d’epoca Ming, il tè che conobbero e che portarono in Europa era tè verde cinese prodotto da foglie di Camellia sinensis sinensis. Il tè nero era ancora poco conosciuto e si diffuse nel XIX secolo, dapprima lungo la via carovaniera che collegava lo la Cina al Tibet e alla Russia, poi in Europa attraverso la Compagnia Britannica delle Indie Orientali. I commerci fra la Gran Bretagna e la Cina erano intensi e furono una grande fonte di ricchezza per il nascente Impero Britannico: la Compagnia delle Indie scambiava l’oppio dell’India con il tè cinese e rivendeva le foglie di tè a prezzi alti, tanto che fino a metà dell’800 solo i nobili e l’alta borghesia poteva gustarsi una buona tazza di tè, la nuova e invitante bevanda esotica.
Si venne così a creare un fiorente triangolo commerciale Gran Bretagna – India – Cina, al cui vertice erano gli inglesi che vedevano aumentare vorticosamente i guadagni sia nello scambio in Cina con l'oppio, sia in madrepatria con la vendita del tè. Ma si trattava di un equilibrio fragile, che si spezzò quando nel 1729 l'imperatore cinese della dinastia Qing bandisce il commercio e il consumo di oppio, la cui diffusione fra i cinesi era diventata ormai una piaga sociale. La Compagnia delle Indie ignorò il proibizionismo e proseguì i suoi commerci, finché nel 1839 il governo cinese sequestrò l'intero carico di oppio ai mercantili britannici ancorati a Canton. Fu la miccia che innescò la Guerra dell'Oppio: la regina Vittoria inviò navi da guerra a Canton. La prima guerra fra Cina e Gran Bretagna durò dal 1839 al 1842 e si concluse con la cessione di Hong Kong al regno britannico, mentre con la seconda fase della guerra, dal 1856 al 1860, indebolì ulteriormente la potenza cinese, che dovette cedere alle incursioni non solo di inglesi, ma anche di altri europei che non trovarono più resistenze nel penetrare anche i più remoti angoli della Cina per trovare tè e spezie. L'unica risposta del governo cinese per contrastare lo strapotere britannico fu di legalizzare l'oppio e di avviarne la coltivazione proprio nello Yunnan, patria storica del tè. Neutralizzata l'arma di scambio con il tè, la Gran Bretagna decide di rivolgere altrove le proprie attenzioni. Il Duca di Wellinghton propone di coltivare il tè nei possedimenti coloniali in India. John Forbes Royle[4] , botanico della Compagnia Britannica delle Indie Orientali ingaggiò Robert Fortune, esploratore con valide conoscenze di botanica ma soprattutto scaltro e senza scrupoli. Nel 1848 Fortune penetrò segretamente nelle remote province cinesi e travestendosi da cinese riuscì ad integrarsi con una piccola comunità di un villaggio di Bohea, nel cuore delle Montagne Wuyi (provincia Fujian). Dai monaci carpì i segreti per coltivare il tè e per lavorarne le foglie, trafugò semi e piantine e le spedì in Inghilterra per farle analizzare dai botanici. Si arrivò alla conclusione che la Camellia sinensis poteva essere coltivata in montagna, magari in quelle indiane dove la Compagnia delle Indie disponeva già di presidi. La Camellia sinensis venne così piantata nelle montagne del Darjeeling, a ridosso della catena dell’Himalaya. Dopo i primi tentativi andati a vuoto, la coltura di tè in India divenne così produttiva che la Compagnia delle Indie portava ingenti carichi di tè in un’Inghilterra sempre più desiderosa, ora che anche le classi medie iniziavano a consumare la bevanda e si erano aperte sale da tè in tutte le principali città dell’isola. Il tè nero indiano aveva così sostituito quello cinese e divenne da allora il tè più consumato in Occidente.
A quello prodotto in Darjeeling si aggiunse un’altra tipologia, proveniente da un’area non lontana geograficamente ma piuttosto diversa dal punto di vista geomorfologico: l’Assam. Adagiata lungo il corso del fiume Brahamaputra, l'Assam è un territorio composto dal fertile terreno alluvionale e dal clima caldo e umido, con precipitazioni monsoniche. Sembrerebbero condizioni inadatte per il tè, considerando che la Camellia sinensis fino ad ora coltivata cresceva solo in territori montuosi, ad altitudini elevate e in clima freddo-umido. Eppure nel 1823 un soldato inglese, Robert Bruce scoprì nell'Assam delle piante selvatiche e ne spedì alcuni esemplari al Botanical Garden di Calcutta, dove il botanico Nathaniel Wallich[5] esaminò la pianta e la classificò come Camellia sinensis assamica, ossia come varietà della Camellia sinensis. Avviò quindi una serie di studi ed esperimenti in Assam e il suo rapporto del 1835 fu così incoraggiante che poco dopo venne istituita l'Assam Company, una compagnia britannica con sede a Nazira, nell'Assam, con lo scopo di coltivare e produrre direttamente sul posto il tè nero. Fu l'inizio di una rivoluzione, che portò la Gran Bretagna a ricoprire un ruolo fondamentale nel commercio del tè.
La Camellia sinensis, nelle varietà sinensis e assamica
La Camellia sinensis è una pianta sempreverde con foglie verde scuro lucide e coriacee, piccoli fiori bianchi di 2 cm. di diametro, 4-9 petali arrotondati e frutto simile alla noce moscata. Contiene semi ricchi di olio essenziale. L’apparato radicale raggiunge al massimo un metro sotto la superficie del suolo, per cui è sensibile a siccità o inondazioni: la prima può impedire la formazione dei germogli, mentre un ristagno dell’acqua può causare la proliferazione di muffe, funghi, o far marcire la pianta.
Il suo habitat ideale è compreso a quote tra i 300 e i 2000 m. s.l.m. (le migliori piantagioni sono tra i 1200 e i 1800 m. s.l.m.). Il migliore terreno è a ph acido, argilloso o calcareo, in grado di drenare le piogge.
Il ciclo vegetativo è in base al clima e alla latitudine: in Cina, Nord dell’India e Giappone la pianta non cresce durante l’inverno e germoglia in primavera (periodo migliore per la raccolta); in Kenia, Sri Lanka ed emisfero australe la pianta cresce tutto l’anno (la raccolta avviene tutto l’anno, più volte al mese). La Camellia sinensis sinensis vive fino a 100 anni, mentre la Camellia sinensis assamica fino a 40 anni.
Le piante si ottengono da semi raccolti in ottobre e lasciati per l’inverno nei vivai. Dopo 6 mesi gli arbusti hanno raggiunto un’altezza di 20 cm. e vengono piantati sul terreno. Dopo 2 anni sono alti fino a 1,5 m., poi potati per mantenere altezza di 60-90 cm. per favorire la raccolta dei germogli. Subito dopo la potatura si effettua la pulizia del terreno dai rami secchi e si effettua la manutenzione dei canali di drenaggio. ll suolo viene trattato una volta l’anno con concimi e, per le piantagioni che non seguono disciplinari biologici, può essere trattato con antifungini e antiparassitari.
La coltivazione della pianta del tè varia in modi e forme differenti in base alle zone e alle caratteristiche del terreno.
In Cina, fra le pendici delle alte montagne avvolte da nebbie e nubi, i giardini sono di piccole dimensioni e la Camellia sinensis sinensis ha la forma di arbusti bassi, stretti gli uni agli altri lungo filari che s'inerpicano sul terreno scosceso. In Giappone i filari sono perfettamente ordinati e le piante potate all'altezza di 60 cm, con forma arrotondata simile alle coltivazioni di lavanda in Provenza. In India, sui rilievi del Darjeeling e dei monti Nilgiri, i giardini sono simili a quelli cinesi ma la potatura viene fatta in modo da creare un "piano di raccolta" per facilitare le raccoglitrici. In Assam e in aree di produzione vasta come lo Sri Lanka, la Camellia sinensis assamicaI viene coltivata in ampie piantagioni che si estendono a coprire intere vallate e colline. La raccolta delle foglie riguarda solo i germogli, composti da un bocciolo e da 2 o 3 foglie sommitali.
Momento fondamentale nel processo di produzione, la raccolta viene effettuata a mano o con appositi macchinari e dalla scelta delle foglie dipende gran parte della qualità del tè.
A partire dal terzo anno della pianta la raccolta si ripete con cadenze diverse in base alle zone e alla stagione.
In Cina la migliore è quella di primavera, ossia dalla prima settimana di Marzo fino a Maggio. In alcune zone vengono effettuate raccolte estive (da Giugno a Luglio). In Giappone la stagione della raccolta è la più breve: solo in primavera (da Marzo a Maggio). In India, in particolare nelle zone montuose del Darjeeling e del Nilgiri, la raccolta avviene in 4 periodi:
1. Raccolta di primavera (First Flush) da fine febbraio a metà aprile;
2. Raccolta d’estate (Second Flush) da maggio a giugno;
3. Raccolta di Monsone (Monsoon Flush) da agosto a settembre;
4. Raccolta d’Autunno (Autumn Flush) da ottobre a novembre.
In Assam si rispettano i 4 periodi canonici di raccolta, ma a bassa quota la raccolta avviene per quasi tutto l’anno, godendo la valle del Brahamaputra di clima tropicale.
Mentre per i tè orientali vale la regola generale della raccolta primaverile come la migliore, in alcune zone dell’India il tè è al suo meglio in raccolte estive o tardive. I germogli usciti a giugno-luglio sono infatti meno delicati rispetto a quelli primaverili e si prestano meglio all’ossidazione cui vengono sottoposti per ottenere infusi più corposi e dal gusto più rotondo.
In Sri Lanka, Kenia e Rwanda il clima consente la raccolta durante tutto l’anno, con cadenza mensile o addirittura ogni dieci giorni.
Per una raccolta di foglie di qualità si osservano criteri legati non solo alla stagionalità ma anche al momento della giornata: si privilegiano le prime ore del mattino per evitare che il sole scaldi troppo i germogli sulla pianta e durante il trasporto. Dove il clima lo consente, tuttavia, i raccoglitori rimangono a svolgere il loro lavoro dall’alba al tramonto, facendo la spola dai giardini alla fabbrica.
Le sfide di oggi: cambiamenti climatici e pesticidi
Il clima è l’unica variabile nel processo di produzione del tè a sfuggire completamente al controllo umano. L’uomo, nella scelta della zona in cui coltivare la Camellia Sinensis, ha fatto valutazioni in base alle precipitazioni, alla presenza di umidità e all’esposizione al sole. Tutto questo però basandosi su un clima che nei secoli ha mostrato andamenti costanti. Dalla metà del secolo scorso, tuttavia, si sono mostrati in maniera sempre più evidente i cambiamenti climatici. Il processo ha registrato una preoccupante accelerazione negli ultimi 50 anni e le attività antropiche (in particolare il riversamento eccessivo di gas serra nell’atmosfera) non fanno che accelerare il fenomeno. Per quanto riguarda la coltivazione di tè i fenomeni che minacciano le piantagioni sono l’innalzamento della temperatura e dell’umidità, le piogge torrenziali che provocano alluvioni e periodi prolungati di siccità.
Se in zone di coltivazione storica, come il Darjeeling e l'Assam, mostrano alcune criticità legate ai cambiamenti climatici, gli stessi fenomeni ambientali aprono nuove strade per la coltivazione del tè. Negli ultimi anni si sono avviate infatti piantagioni di tè in Australia, Nuova Zelanda e persino Europa (come i giardini sperimentali in Italia e in Scozia), luoghi in cui la Camellia sinensis sembra adattarsi a un clima umido e temperato.
Una nuova minaccia alla produzione di tè è l'utilizzo di pesticidi nocivi all'uomo e all'ambente. Benché la Comunità Europea abbia bandito l'uso di pesticidi, consente l'importazione di tè prodotti in zone dove alcuni pesticidi vengono ancora utilizzati, in particolare in India. Un recente rapporto di Greenpeace[6] riferisce che alcune fra le marche di tè in bustina più diffuso in Europa presentano tracce di queste sostanze nocive. La ricerca ha suscitato un grande allarmismo fra i consumatori di tè e le major del settore sono subito corse ai ripari, dichiarando di eseguire attenti controlli. In Europa operano importatori di tè sfuso di grande qualità, sottoposto a più controlli non solo da parte dei tea tasters ma anche in laboratori che controllano se nelle foglie sono presenti elementi chimici banditi dalla Comunità Europea.
Come tutti prodotti agroalimentari, anche il tè deve affrontare le nuove sfide, fra tecnologie e processi naturali. Quello che non cambia è quel piacere e quella sensazione di benessere che la bevanda più antica e amata dall'uomo sa ogni volta infondere.
Un buon tè, le cui foglie che si aprono lentamente nella teiera rilasciando un colore meraviglioso e profumi delicati, sono un piccolo miracolo di tecnica e natura.
C'è qualcosa nella natura del tè che ci conduce in un mondo di quieta contemplazione della vita.[7]
Linda Reali
Linda Reali, Sociologa e Tea Consultant, si occupa di vendita, degustazione e comunicazione del tè. Ha frequentato a Londra il Tea Masterclass dello U.K. Tea Council. Impegnata da anni nello studio del tè come bevanda e come veicolo culturale, svolge regolarmente incontri di degustazione a Rome e in Toscana, dove vive.
[1] Imperatore vissuto dal 2838 al 2698 a.C. Su di lui esistono numerose leggende, tanto da essere considerato un personaggio mitologico. Testimonianze letterarie riferiscono che Chen Nung sperimentasse le proprietà di erbe e che catalogò erbe mediche e velenose. Pare morì proprio dopo aver provato un'erba velenosa. La tradizione popolare cinese lo ritiene il padre dell'agricoltura, colui che insegnò a coltivare i cereali.
[2] Lu Yu "Il canone del tè", edizione italiana a cura di Marco Ceresa, Quodlibet, Macerata 2013.
[3] Georg Joseph Kamel (Brno 1661-Manila 1706) botanico che dal 1687 si recò nelle Filippine dove diresse la farmacia missionaria e scoprì numerose specie botaniche.
[4] John Forbes Royle (Kanpur 1768 – Acton 1858) botanico e medico inglese. Esaminò flora e fauna dell'India settentrionale. Collaborò con la Compagnia Britannica delle Indie Orientali per trovare luoghi adatti alla coltivazione del tè in India.
[5] Nathaniel Wallich (Copenhagen 1786 – London 1847) Botanico danese che per anni studiò e classificò la flora indiana e dal 1817 al 1846 fu Sovrintendente al Royal Botanic Garden di Calcutta.
[6] "Trouble brewing. Pesticide residues in tea samples from India". Greenpeace, Agosto 2014.
[7] Lin Yutang, "Importance of Living", 1937. Trad. italiana "Importanza di vivere", Longanesi 1986.
Complimenti a Linda Reali per questo interessante articolo.
Si legge una competenza ed un profondo amore per la natura, nello specifico la qualità del tè e quella che porta l’uomo a placare corpo e mente per gustare insieme al tè, la pausa di riflessione e per chi apprezza,il viatico ad una forma di meditazione cinetica in cui i calmi gesti si armonizzano voi calmi respiri.
Anche l’aspetto storico, politico ed economico sono un’interessante analisi della realtà che ruota attorno alla pianta del tè.
Come dire bevendo il te ci si rilassa ma prima della magica infusione c’è molta agitazione.